Come diventare un bartender amato dalla clientela? Lo abbiamo chiesto a Gianluca Di Giorgio, barman del Lamo Restaurant di Milano e ideatore dei 5 cocktail realizzati per gli esclusivi mercoledì WMF. Nato con la passione per la mixology, Gianluca porta tutte le sue esperienze e i suoi ricordi dietro al bancone trasformandoli in drink unici. Tra una shakerata e l’altra abbiamo voluto conoscere la mente creativa della miscelazione in casa Lamo.
Perché hai scelto di fare il barman?
Diciamo che nella vita ciascuno di noi cerca continuamente la felicità. Prima di fare questo mestiere studiavo ingegneria nucleare, intanto ho lavorato in sala e poi come barista a delle serate o durante la stagione estiva. Ho capito quanto fossi felice quando mi trovavo dietro al bancone. Il settore in quegli anni non era ancora saturo e dava molte possibilità di carriera, così ho pensato di superare in curva l’università e dirigermi verso la strada della mixology.
In pochissimo tempo ero diventato uno barman dei più richiesti della mia zona, a Cefalù. Poi sono arrivati anche i primi riconoscimenti da Campari e molte collaborazioni con locali e chef, fino all’ultimo premio con Gambero Rosso vinto al Bocum, il cocktail bar di Palermo di cui ero Head Bartender. Mi sono trasferito a Milano in cerca di nuovi stimoli e opportunità. Penso sia una città con cui si possa crescere tanto, soprattutto in ambito manageriale.
Cosa significa fare il bartender?
Fare il bartender è un lavoro che richiede per forza la passione: se a una persona pesa andare a letto tardi, non è portata per il nostro settore. Molti mi chiedono come diventare un bartender, la mia risposta è che tra le figure che ruotano nel settore della ristorazione, quella del barman deve avere capacità di accoglienza e intrattenimento più di tutte. Bisogna far sentire il cliente a casa, senza tralasciare la ricerca e le conoscenze merceologiche. A oggi il settore è sempre più competitivo, la conoscenza di nuove tecniche e prodotti è quindi sempre più richiesta per fare la differenza.
Quanto tempo dedichi allo studio di prodotti e accostamenti?
Come ho detto prima, quello del barman è un lavoro fatto con passione a cui si dedica quasi tutto il giorno. Gli accostamenti sono spesso studiati al locale, parlando con i colleghi o con lo chef, ma possono nascere anche da incontri inaspettati. Per esempio, alcuni preziosi consigli mi sono arrivati di fattorini indiani, che mi hanno fatto conoscere una spezia o un sapore in più stimolando la mia curiosità di sperimentare dietro al bancone.
Che differenza c’è tra un barman in un locale come il LAMO, che è anche ristorante, e un barman di un locale che punta solo al drink?
Questa è una bellissima domanda, perché si allaccia molto a quello che penso sulla figura del barman. Se analizziamo tutto dal punto di vista del pubblico, per ogni tipologia di locale abbiamo un cliente diverso che si aspetta qualcosa in particolare. Come prima cosa, quindi, è importante capire in che contesto diventa il protagonista. La figura del barman cambia da locale a ristorante, perché in quest’ultimo caso è necessaria una forte accoglienza. Per un cliente del Lamo Restaurant il bancone del bar è la prima cosa che vede.
In un contesto come una discoteca, invece, vengono curati altri aspetti, come la velocità e la spensieratezza del cliente. Senza contare che essere il barman di un ristorante con bar consente di personalizzare i cocktail in base ai gusti dei clienti e ai piatti che ordinano.
Come avviene il processo di creazione e realizzazione di un cocktail?
Ognuno ha le sue tecniche e ispirazioni, personalmente mi baso sulle mie esperienze. Possono essere un libro, un’immagine, un piatto o anche una persona. Per esempio, Il Vecchio e Il Mare è un whisky sour con acciughe ispirato a un pescatore visto a Marina di Cefalù mentre mangiava le acciughe marinate con il limone e beveva whisky.
Come ti vedi nel futuro?
Un po’ più manager e meno dietro al banco. Sto collaborando con LAMO, che è una bellissima realtà, e spero di crescere ancora.
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